A cura della Direzione Scientifica di NBF-Lanes
DEFINIZIONE DI CACHESSIA
Nel paziente oncologico è importante mantenere un corretto stato nutrizionale. La malnutrizione, infatti, influisce, direttamente e/o indirettamente, nell’aumento del tasso di mortalità. Nell’uomo è stato riportato che la cachessia neoplastica colpisce l’87% dei pazienti ospedalizzati affetti da neoplasia e si ritiene che la stessa percentuale possa essere presente negli animali da compagnia. Circa l’80% dei pazienti umani affetti da neoplasia diventano malnutriti durante l’evoluzione della malattia. La malnutrizione interferisce negativamente sui meccanismi di difesa immunitari dell’ospite aumentando anche i possibili effetti collaterali dei trattamenti antineoplastici. La cachessia può essere definita come un insieme di fattori che determinano alterazioni nel metabolismo lipidico, proteico e glucidico con conseguente perdita di peso e scadimento delle condizioni organiche e della qualità di vita del paziente oncologico. La cachessia quindi si può definire come lo stadio finale dell’emaciazione associata, spesso, a debolezza, anoressia, depressione immunitaria e mentale.
La cachessia sembra colpire maggiormente i soggetti interessati da neoplasie del tratto gastro-enterico sia per l’azione sistemica della neoplasia sia per il possibile peggioramento delle funzioni digestive. Oltre all’azione diretta della neoplasia anche le diverse modalità d’intervento utilizzate per trattarla (radioterapia, chirurgia, chemioterapia e/o in associazione) possono ripercuotersi negativamente sullo stato nutrizionale del paziente stesso.
Cachessia neoplastica: un problema multifattoriale
Le alterazioni metaboliche che s’instaurano in corso di cachessia si possono manifestare prima della comparsa dei segni clinici della patologia stessa. Ciò che accomuna la patogenesi della cachessia neoplastica, che è considerata un problema multifattoriale, è il catabolismo proteico-muscolare (con conseguente perdita di massa magra) indotto dall’incremento di varie citochine e che induce la produzione di proteine di fase acuta (come la proteina C reattiva). Oggi in Medicina umana si attribuisce questo meccanismo alla produzione, da parte delle cellule neoplastiche, di una sostanza il “fattore inducente la proteolisi” (PIF, proteolysis Inducing Factor). Questo fattore agisce rubando proteine alla muscolatura per fornirle alla neoplasia ed è antagonizzabile tramite la somministrazione di acido eicosapentaenoico (EPA). Dagli studi clinici condotti in Medicina Umana sembra che la somministrazione di EPA permetta di correggere le alterazioni metaboliche correlate ai danni indotti dal PIF e dalle citochine. Molti studi clinici sono stati condotti in Medicina Umana su pazienti oncologici affetti da cachessia ai quali è stata arricchita la dieta con EPA e antiossidanti. Queste ricerche hanno dimostrato che l’uso dell’integratore in pazienti oncologici con calo ponderale permette di arrestare la perdita di peso e di recuperare massa magra, inibire la formazione di citochine proinfiammatorie, migliorare la qualità della vita del paziente e negli stadi avanzati permette un allungamento della sopravvivenza di 2-4 mesi rispetto ai pazienti non trattati con supplementazione alimentare.
Metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi in corso di neoplasia
Le principali alterazioni che si instaurano in un paziente affetto da neoplasia in corso di cachessia neoplastica sono a carico del metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi. Il tessuto neoplastico sembra trarre il proprio nutrimento preferibilmente dal glucosio, come fonte energetica di scelta, quindi riuscire a costringere la neoplasia a utilizzare altri substrati energetici (come grassi e proteine) contribuirebbe a ridurre la proliferazione cellulare. L’impiego di alcuni aminoacidi (arginina, glutamina, leucina, valina, ecc) rispetto ad altri sembra utile per ritardare la crescita tumorale. In studi condotti su modelli animali è stato evidenziato come l’aumentata assunzione di acidi grassi omega-3 possa interferire sulla velocità di accrescimento di alcune neoplasie infatti sembra che EPA e DHA possano attenuare la crescita tumorale grazie alla loro capacità di diminuire il metabolismo dell’acido arachidonico. Alcuni studi, condotti in vivo, hanno dimostrato che l’EPA ha un’azione selettiva sulle cellule neoplastiche portandole a morte. Ulteriori ricerche hanno permesso di dimostrare che la somministrazione di omega-3 riduce la secrezione del fattore di necrosi tumorale- a (TNF- a), dell’interleuchina 1- a e dell’interleuchina 2 che sono degli importanti mediatori del processo cachettico e giocano un ruolo fondamentale anche come fattori di crescita tumorale.
Ruolo del CLA nel paziente affetto da neoplasia
Negli ultimi anni numerosi studi condotti in Medicina Umana e, più recentemente, in Medicina Veterinaria hanno messo in evidenza il ruolo dell’acido linoleico coniugato (CLA) nell’attività anticancerogena, soprattutto per i tumori a carico della ghiandola mammaria, cute, stomaco e colon. L’acido linoleico coniugato (CLA) è un acido grasso a lunga catena formato da diversi isomeri, ne sono state individuate due forme (cis-9, trans-11 e trans-10, cis-12) particolarmente attive biologicamente. L’acido linoleico coniugato è un prodotto di origine naturale, soprattutto nei prodotti di derivazione bovina. Da numerosi studi sembra che il meccanismo attraverso il quale CLA è in grado di modulare la proliferazione di cellule neoplastiche sia il blocco della sintesi del DNA e delle proteine responsabili dell’oncogenesi. Alcuni studi evidenziano che il CLA inibisce la proliferazione tumorale promuovendo quei segnali che determinano l’apoptosi delle cellule neoplastiche in numerosi tessuti (mammario, epatico, adiposo). I risultati di un recente studio (Park HS, 2001) hanno dimostrato che la somministrazione di CLA con la dieta diminuisce significativamente l’incidenza del tumore al colon in topi trattati con 1,2- dimethylhydrazine e l’indice apoptotico. La modulazione della cancerogenesi ha sede in complessi meccanismi cellulari che sembra portino a modificare il metabolismo degli acidi grassi che compongono i fosfolipidi favorendo l’inibizione degli eicosanoidi derivati dall’acido arachidonico, quali PGE2 e PGE2 a. Gli eicosanoidi sembrano modulare la cancerogenesi in numerosi tessuti (ghiandola mammaria, cute, prostata e colon). Alcune tappe del processo di cancerogenesi, come la proliferazione cellulare, l’infiammazione locale e sistemica, l’aggregazione piastrinica e la differenziazione cellulare, sono particolarmente sensibili all’effetto degli eicosanoidi. Il CLA sembra agire sull’incorporazione nei fosfolipidi dell’ac.arachidonico riducendo così la presenza di eicosanoidi infiammatori. Un altro meccanismo che promuove la riduzione degli eicosanoidi grazie al CLA è l’inibizione dell’espressione o dell’attività dell’enzima costitutivo della ciclossigenasi (COX-1) e della forma inducibile (COX-2). COX-2 è prodotto come risposta a stimoli infiammatori e porta alla formazione di PGE2 (mediatori dell’infiammazione). Alcuni studi hanno evidenziato che alti livelli di COX-2 sono associati alla progressione del tumore ed alla inibizione dell’apoptosi delle cellule neoplastiche. La comparsa o la sovraesposizione della COX-2 riscontrata in numerosi tipi di tumore si ritiene responsabile della produzione di fattori che favoriscono l’angiogenesi, della proliferazione tumorale, di numerose alterazioni tumorali cellulari e del blocco dell’apoptosi (meccanismo indispensabile che porta alla morte programmata delle cellule). Nella genesi del tumore è implicato anche l’ossido nitrico in risposta all’azione di alcune classi di citochine. L’ossido nitrico in eccesso reagisce con i radicali superossidi formando un composto che porta a successivi danni ossidativi a carico delle membrane cellulari, alle proteine e al DNA. L’inibizione dell’enzima (iNOS), che porta alla formazione dell’ossido nitrico in risposta all’azione di alcune classi di citochine, determina una riduzione dell’angiogenesi. Il CLA sembra sopprimere sia la produzione di PGE2 che di ossido nitrico in macrofagi attivati riducendo i livelli di RNA messaggero per COX-2 e iNOS.
CLA e ghiandola mammaria
Negli ultimi 5 anni l’attività del CLA sul tessuto mammario affetto da neoplasia è stata ampiamente studiata. Il modello animale murino è il più utilizzato e diversi studi hanno valutato la dose minima efficace di CLA in grado di agire modulando e riducendo diversi parametri correlati all’attività neoplastica. I risultati di uno studio (Ip et al. 2002) hanno evidenziato come una dieta arricchita di CLA assunta da topi trattati solo una volta con methylnitrosourea, ha permesso la riduzione del 33-36% di lesioni premaligne e del 35-40% di carcinoma mammario. Uno studio retrospettivo (Hubbard et al, 2000) ha altresì evidenziato che la somministrazione di CLA allo 0,5-1% induce una riduzione del 20% delle metastasi da carcinomi mammari nei topi.
CLA e neoplasia epatica
Da diversi studi (Lu M et al. 2002; Moya-Camarena et al. 1999) è emerso che gli isomeri del CLA sono potenti leganti di un recettore nucleare (PPAR- a) che agisce nella patogenesi della neoplasia epatica nei roditori. Uno di questi studi ha comparato l’indice apoptotico, importante fattore inibente il processo neoplastico, in topi alimentati con una dieta arricchita di CLA rispetto a un gruppo di controllo che non riceveva questa supplementazione. Nel primo gruppo si è riscontrata un aumento significativo dell’apoptosi epatica.
Da tutti gli studi, su modelli animali in vivo, su colture cellulari neoplastiche animali e umane in vitro, è emerso che l’acido linoleico coniugato (CLA) ha un ruolo nell’attività antineoplastica per i numerosi effetti sui meccanismi cellulari
Il ruolo dei diversi componenti della razione alimentare, siano essi macronutrienti (grassi, proteine e carboidrati) e/o micronutrienti (vitamine, minerali, acidi grassi e aminoacidi), è sempre più oggetto di studio e si inizia ad evidenziare come il trattamento nutrizionale possa influire positivamente e profondamente sulla qualità di vita degli animali affetti da neoplasia.
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