Da quasi un anno a questa parte le nostre abitudini di vita sono cambiate, inevitabilmente anche in ambito lavorativo. Pur ammettendo che la categoria dei medici veterinari non sia certamente la più colpita dagli effetti collaterali dell’emergenza COVID-19, le nostre modalità di aggiornamento professionale, sempre necessario e ormai reso obbligatorio da FNOVI, si sono trasformate.

Congressi e corsi di aggiornamento sono stati praticamente del tutto annullati, rinviati o resi fruibili on-line, da remoto. In questo panorama, alle pubblicazioni, ai webinar, ai corsi on line, soprattutto all’estero sono diventati di uso comune, non solo in ambito veterinario, la modalità podcast, una sorta di trasmissione radio diffusa via Internet, scaricabile e archiviabile in un lettore Mp3, da ascoltarsi senza vincoli di tempo e di luogo su pc, tablet o mobile

Nel 2020, rispetto al 2019, la quota di chi non sa cos’è un podcast è diminuita di dieci punti percentuali. Da un recente articolo apparso sul Corriere della Sera “Nel 2020 gli italiani che hanno ascoltato podcast almeno una volta nel corso dell’anno sono stati 13,9 milioni, 1,8 milioni in più del 2019 (+15%). È uno dei risultati che emerge dalla nuova indagine Nielsen sul mondo dei podcast in Italia, realizzata a ottobre attraverso 1.004 questionari online (dove il 63% degli intervistati ha risposto di avere ascoltato podcast almeno una volta durante il 2020)”

Anche in ambito veterinario, i podcast sono già disponibili da alcuni anni, talvolta messi direttamente a disposizione dalle testate scientifiche più prestigiose o dalle stesse associazioni veterinarie o ordini; acquistano sempre maggiore popolarità grazie alla loro facilità di utilizzo (bastano due cuffiette e un telefono, o un tragitto in auto) e costi modesti o addirittura assenti: infatti molti sono gratuiti.

Molte sono le possibilità, soprattutto se la lingua inglese non è per noi una barriera. La lingua scientifica è ormai l’inglese e anche i podcast di carattere scientifico si sono adeguati. Ora tocca a noi veterinari saper recepire quest’offerta. Saremo pronti per recepirli?

Per scaricarli ed ascoltarli basta poco. Di seguito un link per chi volesse uno spunto per una nuova modalità di mantenersi aggiornati.

 

Un articolo del 2019 pubblicato sulla rivista «Reproduction in Domestic Animals» e prodotto dal Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie dell’università Alma Mater Studiorum di Bologna, prende in esame le principali patologie prostatiche e i relativi approcci diagnostici e terapeutici per farne una review utile ai clinici medici.

Nella pratica dei piccoli animali si riscontrano sempre più malattie della prostata. La malattia prostatica più comune è l’iperplasia prostatica benigna (IPB) seguita da prostatite, neoplasia prostatica e metaplasia squamosa della prostata. Queste malattie non hanno sintomi strettamente patognomonici, quindi per fare una diagnosi corretta è indispensabile seguire un iter diagnostico rigoroso.

Come si diagnostica oggi? Con le opportunità di attività preventiva e di conferma diagnostica che offrono la determinazione del CPSE (Canine Prostatic Specific Esterase) e l’ecografia pelvica.

La terapia per l’IPB è generalmente raccomandata quando sono presenti segni lievi-gravi o se i sintomi disturbano il paziente. Fortunatamente, nuovi approcci terapeutici, sia medici che chirurgici, consentono di intervenire nella maggior parte degli animali con disturbi prostatici. La terapia chirurgica è considerata palliativa e può comportare importanti complicanze postoperatorie: è per questo che intervenire preventivamente, controllando l’ipernutrizione da parte del diidrotestosterone della prostata in caso di IPB, prescrivendo prontamente antibiotici e antidolorifici in caso di prostatite o valutando le opportunità di intervento in caso di forme tumorali, sono percorsi da valutare sui singoli casi.

Buona lettura